Storia

Le origini

Io non era pel mondo

La comunità delle monache camaldolesi a Roma nasce nel XVIII secolo  dall’incontro  tra una giovane vedova e madre di tre figli, Angela Pezza, e i monaci “cenobiti” camaldolesi di S. Gregorio al Celio.

Le fonti

La narrazione dei primi passi della comunità è custodita nelle “Notizie Memorabili delle Monache Camaldolesi  del Monastero di  S. Antonio  Abbate in  Roma” compilate  per commissione  della Reverendissima Madre Abbadessa Donna Maria Angela di S. Filippo Apostolo nell’anno 1865. Queste “Notizie memorabili” racchiudono a loro volta notizie relative alla vita della fondatrice, tratte da un manoscritto redatto da un monaco di S. Gregorio al Celio  nel 1764, a sei anni della morte della fondatrice, grazie alla testimonianza di uno dei figli della fondatrice e delle sue prime compagne di vita monastica.

Altre “croniste” si sono poi succedute nel tempo fino a agli anni ‘50 del Novecento, lasciandoci testimonianze di stile diverso ottenute dalla tradizione orale delle monache.

 

“Viandanti per Roma, viandanti nel mondo” 

La storia della comunità è contrassegnata dalle vicende delle sue peregrinazioni forzate per la città:, le monache camaldolesi hanno dovuto più volte smontare e ripiantare “la tenda” in luoghi non sempre adatti alla vita monastica, sia durante la pressione dei moti napoleonici che sotto quella dei repubblicani, e infine nel clima arroventato della Roma post-unitaria.

Il segno di questa lunga itineranza caratterizza ancora oggi la fisionomia della comunità, che dalla stabilità finalmente acquisita sul colle Aventino ha lentamente esteso una ricca rete di case dipendenti, di piccole residenze monastiche ed eremitiche e di priorati in ben quattro continenti

 

Monaci, papi, cardinali… e di nuovo monaci…

A partire dal legame originario con i cenobiti camaldolesi di S. Gregorio al Celio, le monache camaldolesi di Roma hanno potuto intessere rapporti di dialogo intensi sia con le gerarchie ecclesiastiche (come  sommi pontefici e i loro cardinali vicari per la diocesi di Roma; tra essi vi sono anche monaci camaldolesi come il pontefice Gregorio XVI e il cardinale Placido Zurla), sia con il mondo monastico benedettino maschile e femminile, particolarmente durante il Novecento.

Figure di spicco

La storia della comunità si è formata a partire da ogni monaca che  è entrata a farne parte. Tuttavia, riconosciamo alcune figure che n hanno segnato più eloquentemente il percorso: la fondatrice Angela Maria Pezza; la madre Gertrude del Santissimo Sacramento, abbadessa dal 1828 al 1846; la reclusa suor Nazarena Crotta (reclusa a S. Antonio dal 1945 al 1990), madre Ildegarde Ghinassi, abbadessa dal 1955 al 1993.

Dopo il Concilio

Come tutto il mondo monastico, anche la comunità di S. Antonio ha vissuto a partire dagli anni ’60 profonde trasformazioni e fecondi travagli. Sostenuta dall’energia e dalla lungimiranza spirituale di m. Ildegarde Ghinassi, nonché dalla fraternità di monaci camaldolesi e benedettini, ha fatto proprio lo spirito di aggiornamento del Concilio, armonizzandolo gradualmente con la tradizione millenaria della spiritualità camaldolese.

Le monache Camaldolesi

Le Monache Camaldolesi professano la Regola di S. Benedetto con le Costituzioni proprie e si richiamano alla Tradizione di Camaldoli.

Elemento caratteristico della Tradizione Camaldolese è l’unità della famiglia monastica nel triplice bene:

  • cenobio
  • solitudine
  • evangelium paganorum

 

Tripla commoda quaerentibus viam Domini, hoc est : noviter venientibus de saeculo, desiderabile coenobium ; masturis vero et Deum vivum sitientibus, aurea solitudo; cupientibus dissolvi et esse cum Christo, evangelium paganorum”.

( “Vita dei cinque fratelli”, cap.2 – s. Bruno – Bonifacio- di Querfurt).

Le origini del monachesimo femminile camaldolese

Le monache camaldolesi occupano giustamente una bella pagina nella storia della Congregazione Camaldolese. Fin dai primi tempi della Congregazione San Romualdo ebbe seguaci non solamente fra gli uomini, ma anche fra le donne, a causa della sua sollecitudine apostolica. S. Romualdo desiderava condurre tutti a Cristo attraverso la parola e la testimonianza . Egli non si ritrasse dalla società per fuggirla, ma per il bene spirituale degli uomini e  delle donne del suo tempo, come testimoniò la sua vita attiva e feconda.

San Pier Damiani riferisce nella sua biografia del Santo, che avendo San Romualdo deciso di costruire un monastero per monache “ancillarum Dei” in un luogo detto Valbuona, incontrò forte resistenza ed opposizione in alcuni dei suoi discepoli, mentre altri condividevano il suo progetto. Venute le parti dissidenti davanti a San Romualdo per esporre le proprie ragioni, il demonio, artefice di tale contrasto e nemico di quel progetto, incominciò a fare grande strepito e ad urlare. Separatisi, quindi, i monaci per far ritorno nelle loro celle, si sprigionò un forte vento ed una grande tempesta, che uno dei monaci placò all’istante con un segno di croce. Tutto ciò sarebbe accaduto nel 1023, ma anche prima del fatto menzionato, San Romualdo aveva fondato, probabilmente nel 1006, un monastero di monache. Il Beato Rodolfo, priore di Camaldoli, volle imitare anche in questo il suo maestro e si prodigò per guidare sulla via della santità anche le donne del suo tempo (rif. “Vita di san Romualdo” di s. Pier Damiani, cap. 63).

Il monaco camaldolese Parisio Ciampelli fa notare come i due monasteri sopra citati, benché appartengano alla Congregazione Camaldolese, non possono dirsi strettamente tali per il fatto di essere antecedenti alla esistenza di una precisa regola eremitica scritta, come invece molti altri riformati da San Romualdo, fra i quali quello antichissimo di Bagno di Romagna dove visse e morì santamente la Beata Giovanna. Anticamente un certo numero di monasteri camaldolesi erano “doppi”, ossia nella stessa struttura vivevano monaci e monache in aree separate e riservate, a volte eretti alternativamente da una abbadessa o da un priore.